venerdì 27 ottobre 2023

Transamazzonica - iosonoamazzonia.org Parte 1 Belem - Novo Repartimento

TRANSAMAZZONICA

https://www.iosonoamazzonia.org

Preparazione

Il viaggio è stato programmato da Alberto Vaona nel 2020, ma rinviato a causa della pandemia ed ha perso i componenti del team iniziale. Ho aderito al progetto a seguito di  una ricerca di compagno di viaggio effettuata da Alberto attraverso Facebook.



Percorso programmato da Belem (BRA) ad Arica (CIL)


    È stata programmata un'uscita conoscitiva in Marocco di due settimane alla quale prende parte anche Riccardo Bonazzo, unitosi al gruppo successivamente. Questa uscita  è stata fondamentale, perché ha permesso a tre persone che non si erano mai incontrate prima, di conoscersi sotto il profilo caratteriale, di prestazioni, adattabilità in condizioni critiche, tecnico nei confronti del mezzo di trasporto bicicletta ed infine sotto il profilo di capacità organizzativa e intraprendenza durante il viaggio.

Qui il link alle tre puntate sul blog:

https://ilsimoningiro.blogspot.com/2023/05/marocco-in-bici-parte-1-aprilemaggio.html?m=1


https://ilsimoningiro.blogspot.com/2023/05/marocco-in-bici-parte-2-niente-albergo.html?m=1


https://ilsimoningiro.blogspot.com/2023/06/marocco-in-bici-parte-3.html?m=1





Esisteva già un programma di viaggio che in una tabella raccoglieva le tappe, le distanze da percorrere ed i punti dove sostare; ho fatto una ricerca successiva di aggiornamento sugli eventuali punti di sosta e di supporto logistico lungo il percorso e redatto un elenco di materiale che avrebbe costituito il nostro equipaggiamento.

Equipaggiamento

È stato suddiviso in differenti segmenti: abbigliamento, medicinali, igiene personale, ricambi e attrezzi, equipaggiamento della bicicletta dal punto di vista dei bagagli, equipaggiamento da campeggio, attrezzatura legata alla sopravvivenza ed infine attrezzatura elettronica sia per uso personale che per documentare il viaggio. 

Il sostegno di PROBIOTICAL nostro sponsor principale è stato fondamentale per la realizzazione del progetto, durante il viaggio ci sottoporremo ad uno studio per il controllo della diarrea del viaggiatore attraverso l'assunzione quotidiana di una capsula di probiotico. ZigZag repellenti cutanei e Zaneboni studio d'ingegneria ambientale e sicurezza sono intervenuti come ulteriori sponsor, da ultimo il Maglificio Lisanza ci ha fornito un set maglietta e leggings AG+ con fibre d'argento organico antibatterico da testare alle alte temperature ed umidità.

Il viaggio aereo fino a Belem

il tempo stimato di viaggio era fissato in circa tre mesi, prima della partenza io e Riccardo abbiamo acquistato i biglietti andata e ritorno su Belem con trasporto della bicicletta solo per l'andata, non è stato possibile inserirla al ritorno perché una prima tratta nazionale Belem-Recife operata non da TAP (compagnia aerea portoghese) non lo permetteva. Punto di inizio del viaggio alle foci del Rio delle Amazzoni sull'oceano Atlantico. Alberto, che già aveva un precedente biglietto per il viaggio naufragato nel 2020, lo ha variato per unirsi a noi. Il 10 luglio del 2023 è la data fatidica, si parte dall'aeroporto di Bergamo Orio al Serio con scalo a Lisbona (Portogallo) alla volta di Belem in Brasile nello Stato del Parà.


Preparazione in loco: 

Il primo giorno ci servirà per:

- rimontare le biciclette;

- un cambio di valuta iniziale è stato fatto (5,2 Reals per 1 €) direttamente all’arrivo in aeroporto per garantirci un minimo di autonomia;

- sarà problematico ottenere una carta telefonica brasiliana (Vivo pare essere rete che offre la miglior copertura sul territorio che attraverseremo) in quanto è richiesto il CPF (una sorta di codice fiscale brasiliano), alla fine riusciremo ad avere una carta ricaricabile attraverso il pagamento di una richiesta di rilascio CPF all’uff. postale;

- tentiamo di attivare l’applicazione telefonica di pagamento più diffusa in Brasile: PIX, ma non è possibile perché deve essere collegata ad un conto corrente locale che non può essere aperto senza la cittadinanza; 

- il tentativo sfumato di una vaccinazione antirabbica nel posto di sanità pubblica (viene praticata solo se si è veterinario oppure se si è stati morsi);

- acquistare il poco che ci manca dell’equipaggiamento, beveraggi e il cibo

- abbiamo attivato il sistema In-Reach del navigatore Garmin GPSMAP 67i che permette di inviare una richiesta di soccorso attraverso il sistema satellitare ed, inoltre, inviare messaggi di testo sui numeri di telefono associati (la cosa interessante è che, dove è presente una rete telefonica la sfrutta altrimenti i messaggi passano attraverso la trasmissione satellitare) non ci resta che associare il navigatore al telefono in modo da poter inviare i messaggi da quest’ultimo tramite l’APP Garmin Messenger che risulta più pratico e veloce;

   


Belem presa di contatto con la vita locale:

Dopo un assaggio della città in bicicletta per svolgere tutte le necessarie incombenze, è il momento di di visitare qualcosa, ci spostiamo in riva al fiume dove sorge la zona storica della città, il porto con le caratteristiche barche da pesca colorate è infestato dagli Urubù, dei piccoli avvoltoi neri che banchettano sui resti di enormi pesci d’acqua dolce sparsi sulla riva. 



Qui la vita è molto animata, c’è molta gente, chi lavora, chi passeggia e un flusso si dirige al Ver-o-Peso, mercato storico di Belem sito in una grande struttura coperta, dipinta di bianco ed azzurro con due guglie a campanile alle estremità della facciata. Sorge vicino all’acqua ed è, come tutti i mercati, gremito di banchi, persone, odori, cani e gatti randagi, immondizia, sovrastato dal vociare e dalla musica, può piacere oppure no ma è sicuramente caratteristico.



Poco discosto, separato da un vicolo, sul lungofiume, un quartiere di ristorazione coperto da verande e tettoie. Una bolgia di ambulanti, bancarelle e ristoranti con tavolate enormi e centinaia di posti si susseguono al ritmo sfrenato della musica che si sovrappone da un locale all’altro. Qui c’è sempre musica ad alto volume ovunque! è un culto! 



Parcheggiamo le bici e ci sediamo ad una tavolata nella ressa generale, siamo ancora molto “ingessati col portoghese” e non conosciamo i piatti locali ma il servizio è rapido e la signora simpatica e paziente. Del pesce fritto con riso e fagioli sarà il nostro primo pasto mentre le orecchie sono frastornate dalla confusione e gli occhi dai colori. 



Ci sono mendicanti, gruppi musicali che si aggirano fra i tavoli e non si sa più cosa guardare nel caos di immagini, personaggi, piatti sconosciuti, frutta mai vista dalle forme improbabili.

Muoversi in bicicletta richiede molta attenzione, vuoi per il traffico a tratti intenso ma anche per le abitudini e gli ostacoli urbani differenti da ciò a cui siamo abituai. Una cosa che colpisce subito è l’altezza notevole del marciapiede dal piano stradale, spesso arriva a mezzo metro e le enormi dimensioni dei canaletti di scolo con relativi inghiottitoi della fognatura. Subito ti chiedi: perchè? ma riflettendoci la risposta viene da sola. Qui la pioggia è una cosa seria, in un attimo si scarica una quantità d’acqua enorme, che, nonostante gli accorgimenti per evacuarla in alcuni punti ristagna in vere e proprie piscine profonde ben oltre la caviglia.

Le piste ciclabili, dove sono presenti, sono spesso al centro della strada a ridosso dello spartitraffico e della fermata dei bus, la guida disinvolta dei mezzi a motore ti porta a prestare ancora più attenzione che a casa nostra dove è già notoriamente pericoloso muoversi in bicicletta.



Fin qui non si è avuta la percezione del pericolo dovuto alla diffusa criminalità e piccola delinquenza generati dalla povertà (notizie avute dai siti sul web e dalle informazioni fornite dal Ministero degli Esteri sul portale: Viaggiare Sicuri) . La sera ci siamo mossi a piedi per la città ed abbiamo incontrato Jack Jadson (un disegnatore di comics locale) che ci ha raggiunto in motocicletta con la figlia e poi il fratello Wesley (musicista). 



Con loro abbiamo cenato e trascorso una piacevole serata finalmente chiacchierando un po’ con i primi locali che parlano inglese (qui pare di essere nell’Italia di 40 anni fa dove le lingue straniere erano appannaggio quasi esclusivo delle località turistiche) ed avendo la possibilità di attingere ad informazioni attendibili di “prima mano”. Gentilissimi, ci raccontano, ci chiedono, perché la curiosità dei nostri mondi è reciproca e finiscono per scarrozzarci in auto a vedere la Belem notturna, che, ancora una volta, non ci pare assolutamente pericolosa.




Tratta 1 Belem - Novo Repartimento 

(raggiungimento Rodovia Transamazzonica BR230).


Tracciato pianificato

Tracciato effettivo prima tratta con punti di sosta


Sbrighiamo le ultime piccole incombenze, ulteriore cambio di denaro e ci spostiamo verso l'imbarcadero, balsa Belém - Arapari, quello che ci indica GPS non è il molo giusto, ci dobbiamo spostare. A un paio di chilometri ecco la balsa (traghetto) che ci interessa, il primo attraversamento supera già due fiumi, il Rio Guamà e il Rio Acarà che scorrono paralleli e si immettono nell'ultimo tratto del rio Parà che si trasforma nella baia di Marajò, aperta sull’Oceano Atlantico



Mondo fatto di acqua dolce in quantità inusitata, quelli che qui sono dei piccoli ignoti fiumi da noi superano di gran lunga la portata e le dimensioni del Po. Qui per noi tutto è nuovo, il panorama, la vegetazione, il clima, già alle 10 di mattina il caldo è soffocante e l'umidità opprimente. Tutto ci lascia bocca aperta, Dalle barchette dei pescatori con l'elica all'estremità di un lungo albero, immagino che anche qui le chiamino “long tail” (non fosse che nessuno spiaccica una parola di inglese) ovviamente in portoghese. Sfrecciano come furetti costeggiando le tante isole che emergono dalle acque marroni, sulle rive tante palafitte in vari stati di conservazione, dalle più derelitte alle più nuove dipinte in colori sgargianti. 





Palme sottili e altissime dal tronco liscio come quello di eucalipto e perfettamente cilindrico come un palo si mischiano ad alberi giganteschi dai tronchi possenti intrecciati di rampicanti, i rami festonati da liane, ficus imponenti e manghi a perfetta forma di ombrello. Uccelli che cantano e stridono emettendo suoni nuovi per le nostre orecchie. Insomma gli occhi non trovano pace corrono a destra e sinistra, in alto e in basso a caccia di nuovi dettagli e tutti i sensi sono impazziti percependo nuovi stimoli. Che sensazioni incredibili, questa è l'Amazzonia, a un passo dall'Equatore, quasi stento a crederci. 





Raggiungiamo Arapari in un'oretta di navigazione. Il Primo tratto di strada è piuttosto trafficato, ci sono camion dalla lunghezza impressionante che ci scorrono accanto, fortunatamente la strada ha una spalla laterale piuttosto ampia che ci permette di viaggiare in sicurezza. 



Pedalando cominciamo a renderci conto del caldo impressionante, il sudore che cola, la sete che ti attanaglia e quando arriviamo in un'area di servizio scopriamo con enorme gioia una serie di rubinetti che buttano acqua ghiacciata, evidentemente non siamo i soli a sentirne la necessità. 

La "sindone" lasciata dai miei pantaloncini sudati sulla panca di legno

I bordi della strada sono costellati da piccole casette di legno a qualche centinaio di metri una dall'altra, alcune poco più che stamberghe, altre più dignitose ed altre ancora ben tenute e dai giardini meravigliosi, in comune polli razzolanti ovunque, animali da cortile che si mischiano ai bambini e una quantità impressionante di cani randagi.
 




Quello che vediamo intorno a noi è: tanta campagna, a tratti coltivata e in ampie zone lasciata a pascolo dove tanti bovini bianchi con la gobba brucano e  ruminano. 










La nostra prima sosta ad un chiosco, che negli Stati Uniti si chiamerebbe roadhouse, qui si chiama lanchonete e sarà al centro dei nostri pensieri e sommo desiderio in tanti momenti della giornata. È generalmente una costruzione di legno con una veranda sotto la quale c'è sempre un piccolo biliardo, qualche tavolino e delle sedie, in alcuni casi ci sono tavoli anche all'interno se la costruzione è abbastanza ampia. Spesso abbiamo dormito con le tende sotto la veranda. Si trovano sempre bevande gassate tipo coca-cola, fanta e guaranà, spesso la birra (Skol e Brahma le più diffuse) e i succhi di frutta fatti in casa, fortemente osteggiati da Alberto per il pericolo di diarrea. A questo proposito stiamo assumendo capsule di probiotico giornaliere fornite da PROBIOTICAL, il nostro sponsor, che costituiranno la base per uno studio sul funzionamento del nostro intestino esposto al rischio della diarrea del viaggiatore. 

             sporchi               assetati                 affamati



    e.......................stanchi, molto stanchi







....ci godiamo la tettoia

Come succederà spesso famigliarizziamo con la famiglia dei gestori, tre viaggiatori in bicicletta sono rari, incuriosiscono tutti, si finisce sempre per fare foto tutti insieme, non esclusi bambini e animali da cortile. 






Qui non c'è molto da mangiare, spesso troviamo solo quello che chiamano i pastel, dei frittoni di pasta sfoglia ripieni di carne oppure formaggio oppure prosciutto e formaggio, talvolta l'olio di frittura è più vecchio di noi. 
Tornando alla prima sosta al lanchonete scopriamo che il locale è dotato di wifi, grande cosa, ci permette di mantenere i contatti con gli affetti e trasmettere attraverso i “social” il nostro sguardo sulla realtà sudamericana. Quando ce ne andiamo I due ragazzini immersi nel telefono sotto l'albero di mango non si sono spostati di 1 cm, cambia il continente ma gli atteggiamenti sono gli stessi. Ancora casette e allevamenti, una quantità enorme di vitelli neri al pascolo, un enorme monumento di cemento a forma di vascello in omaggio a Jeronimo Rodriguez (politico e professore di origine indigena) campeggia desolato nello svicolo stradale.



Un piovasco che ci costringe a ripararci per un po’ ci dà il benvenuto nel clima equatoriale, la pedalata ci porta a Igarapè Miri, un paese che, manco a dirlo, sorge sulla riva del fiume omonimo. 

La prima pioggia


Il villaggio è povero ma brulicante di vita al nostro arrivo all’imbrunire. Un grande parco con divertimenti per i bimbi e giostre che sottintendono una qualche festa locale, gente che fa jogging nel fresco della sera e un concerto assordante di uccellini nella fitta chioma degli onnipresenti manghi. 



Una colonia dal piumaggio giallo popola i rami bassi mentre dalle foglie della cima spuntano le capocchiette di una specie di merlo bianco e nero, evidentemente abitatore “dell’attico vegetale”. 
Il lungofiume con le barche di legno in secca e ormeggiate ai sostegni delle palafitte è un’immagine pittoresca (siamo all’inizio del viaggio e tutto colpisce la mia fantasia non ancora abituata ai dettagli locali, che probabilmente a breve entreranno nella consuetudine perdendo parte del fascino. 






A cena un piatto tipico del Parà, il Takakà, zuppa con gamberetti brodo gelatinoso e foglie verdi che ricordano gli spinaci, il sapore è leggermente speziato e anestetico, fa perdere la sensibilità alla bocca, sensazione veramente strana. Così finisce la prima giornata di viaggio, densa di novità e di scoperte stupefacenti. 



Si prosegue verso sud pedalando sull'asfalto, il cielo è sempre azzurro ed il sole splende, sempre piccole fattorie pascoli e vegetazione vulcanicamente lussureggiante nelle zone intorno ad acquitrini e  stagni che punteggiano del territorio. 



Invece di proseguire direttamente verso Tucuruì lungo la strada asfaltata decidiamo di attraversare il Rio Tocantins. Dopo la metà mattina il caldo l'umidità crescono vertiginosamente facendoci letteralmente scegliere di sudore, ogni qualche decina di chilometri troviamo sollievo in un lanchonete dove scolare grandi bottiglie di soda e qualche birra Skol, che ha la dote di essere fresca e leggera. A Carapajò, porto in riva al fiume, rimaniamo inchiodati sotto una serie di rovesci di pioggia torrenziali, fortunatamente le botteghe attorno a noi hanno tutte una bella veranda che ci consente di non inzupparci fino al midollo e approfittiamo della gentilezza della padrona del piccolo supermarket che ci offre delle banane. 



Con la consueta balsa, che fa servizio ogni due ore, raggiungiamo Cametà navigando per quasi due ore nel dedalo di canali tra le isolette che costellano il corso del Tocantins








Questa scelta di percorso ci porta presto ad abbandonare l'asfalto e proseguire verso sud lungo la Transcametà, una via di comunicazione totalmente sterrata che ci fa prendere contatto anticipatamente con il fondo stradale tipico della Trasamazzonica, il nostro futuro per parecchie centinaia di chilometri. 






Lo sterrato fa un brutto effetto alla mia gomma anteriore, probabilmente la tengo troppo gonfia e il peso elevato del carico la fa cedere provocando un piccolo taglietto. La musica ad alto volume è la caratteristica tipica dei locali lungo la strada, ne troviamo uno dove un gruppo di bimbi balla con naturalezza.



Il lanchonete con grandi altoparlanti e musica a volume brasiliano ci accoglie al ballo di bambini spensierati che si agitano sotto le fronde di un mango.  I ragazzini vengono presto trasferiti da mamme preoccupate dall’apparizione di questi stranieri lerci, strani (chi viaggia in bicicletta qui?) e sicuramente pericolosi.

La cosa comica è che siamo venuti preparati ad un ambiente pericoloso e pieno di rischi ma ciò che sperimentiamo è un “effetto specchio”, siamo noi l’origine di preoccupazioni e paure negli altri; il timore di essere assaliti e depredati svanito e letto negli occhi di chi sta intorno a noi. Sollievo e dispiacere, bisogna vincere la diffidenza per socializzare.

Lasciamo il bar e gli altoparlanti grandi come lavatrici per proseguire nel caldo polveroso della pista, costellata da tanti ponti in legno che attraversano fiumiciattoli e torrenti.



Arriva anche il momento del primo pernottamento in tenda, siamo al Km 100 della Transcametà, un gruppo di baracche in legno sparpagliate nella boscaglia a bordo pista che non merita nemmeno un nome se non il chilometro. Raggiungiamo una tettoia con pavimento in legno, solitaria ed inutilizzata, poco discosta dal ciglio stradale, circumnavigando enormi pozzanghere fangose ricordo della pioggia recente. Sembra adatta ad ospitare tre tende, chiediamo in un povero capanno poco distante se possiamo rimanere per la notte, una coppia giovanissima con un bimbo piccolo che non capisce una parola (ma è reciproco) alla fine, probabilmente più preoccupata di noi, ci fa cenno di si. 


Una cisterna di plastica blu, posata su un traliccio in legno (qui ogni baracca ne ha una) attraverso un tubo sarà la nostra doccia saltellando nel terreno fangoso e subito in tenda, dormiremo sempre utilizzando solo il telo interno a zanzariera dopo esserci spruzzati di repellente. 



Primo momento di ascolto dei suoni della foresta, i rumori degli animaletti, il fruscio delle foglie, il canto degli uccelli e il pesante manto della fatica che cala facendoti perdere coscienza di te, dell’umido opprimente e del caldo soffocante, dimentico del materassino su cui sei incollato dal sudore, insensibile al duro pavimento quasi per nulla attutito dal neoprene.

Ancora una volta non ho percepito una minaccia esterna e svegliarsi col canto degli uccelli e lo stormir di fronde (per fare una citazione poetica che ben dipinge la situazione) mi ha sempre riempito di gioia anche nei viaggi precedenti. Qui anche il canto degli uccelli è in un certo senso in una lingua diversa, perché diverse sono le specie, suoni mai uditi, colori nuovi e farfalle stupefacenti che ti svolazzano intorno silenziose, veloci come uccellini in un lampo colorato.
















Dormo poco e appena apro gli occhi il mio motore è già caldo, la mente lucida, sono pronto a funzionare a pieno regime, la prima cosa è generalmente “inforcare” gli occhiali, infilare in testa la luce frontale e continuare a scrivere nel diario il resoconto della giornata precedente, bruscamente interrotto dal sonno in uno sgorbio tracciato dalla penna sulla pagina bianca.

E’ ancora buio, anche Alberto è spesso sveglio quando apro gli occhi, perso in qualche attività nel telefono, un’arma che, connesso o no, permette mille operazioni, dalla lettura, alla consultazione, all’album fotografico.




Si fa chiaro, qualche foto all’alba, si ripiegano le cose, si smonta la tenda si ripone tutto nelle borse, operazioni all’inizio lente ed impacciate che diventano automatiche e rapide col trascorrere dei giorni. Le prime operazioni importanti della giornata: riempire lo stomaco per una nuova pedalata e le borracce per compensare il rivolo continuo di sudore che mi inzuppa la maglietta, passa ai pantaloncini, cola lungo le gambe, infradicia i calzini e le scarpe.

Il Km100… non fare colazione di nessun tipo… ci aggiustiamo col poco cibo trasportato e contiamo nel primo lanchonete, caffè, pousada che incroceremo sulla strada per qualcosa in più che ci dia energia. Venti interminabili km ci portano all’agognato ristoro dove due pastel de carne (qui chiamano il macinato “carne alla calabrese” ed è uno dei piatti più comuni), unico genere commestibile disponibile, mi riempiono la pancia ma non mi danno energia. Siamo in pieno saliscendi sterrato, tipico ambiente amazzonico dove tenere un ritmo è impossibile, un ciclista direbbe: “percorso allenante” ma lui viaggerebbe con 7kg di bici sull’asfalto, non con 50kg sullo sterrato, così è spossante. 



Si sopravvive fino alla pousada dei 50 e poi dei 70km in attesa che il fisico si abitui ad essere martirizzato senza pietà, i primi giorni sono la ricerca dell’adattamento e costano un po’ di sofferenza. 



Si naviga nella polvere tra un ponte e l’altro salendo l’erta ditta di un colle e precipitando dall’altro lato per centrare la guida sconnessa di assi che cercano di inghiottirti la ruota sul prossimo ponte.



Dopo due giorni di pista sappiamo cosa ci attende, ci stiamo indurendo e il fisico si adegua, l’abitato di Tucuruì ci accoglie con un alberghetto, una doccia calda ed una piazza gremita di bancarelle e ristori di street-food, musica e tanta gente. Il morale è alle stelle aiutato da una Skol e una picaña (bistecca).



La pericolosa doccia Lorenzetti che scalda 
l'acqua con l'elettricità e più di una volta ci          La Teresa gloriosamente parcheggiata tra i fiori
    ha donato una bella scossa


Lasciare la città lungo la superstrada asfaltata e molto trafficata non è tra le cose più entusiasmanti, ci arrampichiamo per un bel tratto su una ripida collina e un enorme pitone di almeno 4 metri giace schiacciato al bordo della strada, sarà uno dei tanti animali vittima del traffico che incroceremo, la fauna selvatica “viva” è invisibile.



Scollinando siamo in vista della diga di Tucuruì, una delle più grandi al mondo in terra battuta, una lunga discesa lungo un viale fiancheggiato da manghi e nuovamente fine dell’asfalto che riprenderà solo alla periferia di Novo Repartimento. Il fondo a tratti spezza le reni con quella serie di piccolissime cunette separate da piccole creste acute, frutto del lavorio delle gomme dei mezzi pesanti che schiacciandosi e distendendosi generano quello che qui chiamano “ripio calamina”, gli inglesi lo chiamano wash-board e i francesi tole ondulee. 



I mezzi a motore riescono a regolare la velocità per “galleggiare” sulle creste riducendo il disagio, le biciclette barcollano a destra e sinistra alla ricerca di una via meno peggio e il conducente ha presto le mani informicolate, gli avambracci duri come pali e i denti sbriciolati dalle vibrazioni.


Tutto sommato la Transcametà, nonostante la sua durezza, ci porta all’inizio della Rodovia Transamazzonica BR230 con una parvenza di territorio selvaggio, anche se privo di foresta, ormai da tempo cancellata dalle attività umane. E’ comunque stato emozionante vedere una coppia di grandi pappagalli Ara Macao volare sopra di noi in un lampo di rosso, verde e blu gracchiando a gran voce.



Novo Repartimento non è nulla di che, una serie di costruzioni che si snodano lungo la strada fino ad un’imponente rotonda in cui campeggia un enorme caterpillar, memoria della costruzione della Transamazzonica, allo svincolo delle strade grandi riproduzioni di bovini dalla gobba, giganteschi favi di cacao ed ecco la storia recente del luogo e le principali attività in bella mostra sulla rotatoria.





Ci accoglie un bingo in strada, con imbonitore al microfono che arringa la folla ed altoparlanti enormi che strombazzano i numeri estratti, si svolge su viale e controviale, una folla di centinaia di persone partecipa con le cartelle in mano, chi in piedi, chi si è portato la sedia, una ressa di vetture ferme per giocare al bingo  blocca la strada, il conducente seduto al volante con le cartelle in mano. E’ una scena incredibile, peccato non averla filmata.

La ricerca di un hotel è difficoltosa, tre strutture ci dicono di non avere posto, l’impressione è che ci rifiutino per il nostro aspetto impolverato e spaventosamente poco raccomandabile, finalmente il quarto tentativo va a buon fine. Il posto non è gran che ma almeno siamo sistemati. Doccia e cena celebrativa d’inizio Transamazzonica concludono la giornata.

Si conclude qui la tratta di avvicinamento alla mitica Transamazzonica, poco meno di 500 km, oltre 250 di pista sterrata, percorsi in 5 giorni di movimento che ci hanno acclimatato al calore, all’umidità, alla polvere, alle bevande ed i cibi locali e creato il fondo di allenamento necessario a percorrerne altri 2000 circa fino a Lábrea. La città che segna la fine del tracciato viario, incompiuto a causa delle difficoltà di costruzione e dei costi astronomici per realizzarlo (non solo in termini di denaro ma anche di vite umane, dei lavoratori periti per: incidenti sul lavoro,  malattie, incontri con animali ed insetti, scontri con altri esseri umani, i padroni di casa, gli indigeni).


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Le tracce seguite nel programmare questo viaggio ripercorrono le due esperienze documentate di viaggio in bicicletta lungo la Transamazzonica precedenti alla nostra. 


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La prima relativa a Louise Sutherland, infermiera neozelandese che si avventura sulla BR230 nel 1978, poco dopo l’apertura ufficiale da parte dell’allora presidente generale Medici (ideatore del progetto). 




Lei (descrive il suo viaggio in un libro intitolato: “The impossible ride”) parte da Tucuruì in stagione più avanzata e con una documentazione decisamente meno dettagliata della nostra sullo stato della strada, le condizioni di sicurezza ed i punti di rifornimento. Ottiene le informazioni da organismi statali e locali oltre che da persone incontrate sul percorso, ma nella più parte dei casi sono poco attendibili se non fantasiose e prive di fondamento. Impressionante come la possibilità di documentarsi sia cambiata radicalmente nei 45 anni trascorsi ad oggi. Il suo viaggio su una  bicicletta Peugeot con cambio a 5 rapporti inizia circa 300km più avanti rispetto al nostro e riporta molte fattorie che, per disposizioni governative, devono lasciare a foresta il 50% del territorio occupato, ma già allora ci si rende conto che in strisce così esigue ed isolate tra loro la foresta non può sopravvivere. Effettivamente al nostro passaggio non rimane nulla del tentativo di conservazione effettuato nel cinquantennio precedente, fino a Novo Repartimento di foresta non c’è rimasto nulla. Il poco territorio selvaggio rimasto è al di là del Rio Tocantins, lungo la Transcametà.

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La seconda esperienza, del 1999, a circa vent’anni di distanza, registrata in un blog da Michael Merz, tedesco. 



Anche lui parte da Belem e rimane sul versante orientale del fiume Tocantins, percorrendolo in bicicletta e non via acqua fino a Tucuruì. Il suo primo tratto di sterrato si incontra tra Tucuruì e Novo Repartimento (Vecchio Repartimento è stato sommerso dalle acque dell’invaso formato dalla costruzione della grande diga in terra battuta di cui parlo sopra). Questo tratto di strada all’epoca era percorso da pochissimi mezzi in quanto una strada asfaltata più lunga di un centinaio di km verso Marabà consentiva tempi di percorrenza più rapidi ai camion (Micha riporta 3 o 4 camion incrociati in circa 70 km di pista, 24 anni dopo noi ne incrociamo uno ogni qualche minuto). Il tedesco, inoltre, riporta un panorama di densa foresta che noi non vediamo più, è bastata una generazione per cancellare tutta la vegetazione della zona, lasciandone solo qualche piccola macchia nelle vallette inutilizzabili perché troppo impervie che calano al lago artificiale.


Qui termina il primo post ci rivediamo per il primo tratto di Rodovia Transamazzonica tra Novo Repartimento e Itaituba nel prossimo post.